ANDROMEDA SHUN KIDO
Età: 13
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I colori originali Occhi: Verdi |
Insomma, avrete capito che potrei raccontare Shun per pagine, pagine e pagine, ma sarò costretta a tinteggiare qui le linee essenziali o mi strapperanno a viva forza ogni intrusione nella sezione personaggi;P Per cui dovrò scegliere, tra le tante cose da dire, dei particolari che possano far comprendere a chi legge, almeno un po’, quello spirito colmo di tutto ciò che c’è di meglio al mondo, lo spirito che appartiene a Shun (non chiedetemi di essere obiettiva qui, vi prego, già ho fatto fatica con gli altri;PPPPPPPPP). Allora… Shun è senz’altro il cuore del gruppo dei bronze e probabilmente una delle personalità più particolari mai apparse nel mondo di anime e manga… e mai apparse sulla faccia della Terra;PP (Shun: la vuoi fare seriamente questa descrizione o no?-_-). Be’, capisco che possono sembrare le parole di un’innamorata ma in realtà è anche un’osservazione obiettiva, in quanto la sua stessa storia ci dice chiaramente che Shun è l’uomo più puro del mondo; ci viene rivelato questo particolare (anche se era facilmente intuibile sin dall’inizio^^), soprattutto nel corso dell’ultima parte della saga, quando scopriamo che il corpo del ragazzo è stato scelto da Hades, il Dio degli Inferi in persona, come mezzo per la sua reincarnazione. Da qui nasce un equivoco che vediamo di sfatare subito: abbiamo notato che, secondo l’interpretazione di molti, soprattutto autori di fanfic, Shun è ritenuto, fin dalla nascita, reincarnazione di Hades e quindi nato già, in un certo senso, come Hades… in realtà nulla di tutto questo è avvenuto, non è una cosa paragonabile alla reincarnazione di Athena… Saori è Athena fin dalla nascita anche se lo ha scoperto solo nel corso della sua adolescenza, mentre Shun è stato scelto da un Dio che, non riuscendo ad entrare immediatamente in lui, ha atteso che compisse i tredici anni e giungesse vicino a lui nelle vesti di santo di Athena. Il caso di Shun potrebbe invece essere paragonato a quello di Julian-Poseidon, anche se i motivi della possessione sono diversi; per quest’ultimo si trattava dell’appartenenza alla famiglia dei Solo, mentre Hades sceglie Shun perché vuole il corpo del ragazzo più puro del mondo… non crediamo ci sia un motivo particolare, semplicemente Hades ha buoni gusti;P (Shun: se non la pianta me lo scrivo io il mio profilo-_-). Hades non avrebbe, infatti, nessun problema a mostrarsi in carne ed ossa ma siccome tiene molto al proprio corpo, lo conserva al sicuro nella Giudecca e usa in ogni epoca esseri umani puri per provare a sconfiggere Athena e a distruggere il mondo. Se si legge il manga attentamente, è evidente che non vi è nessun motivo per incorrere nell’errore sopra descritto: viene detto chiaramente in più punti e ribadito decisamente infine da Athena, che Shun è nato per essere santo di Andromeda e che Hades, in quest’epoca, non ha il corpo necessario per la reincarnazione… Shun è andato incontro a tale sorte per la propria purezza e, al tempo stesso, per conseguenza diretta, proprio a causa delle caratteristiche attribuibili alle stelle di Andromeda: chi nasce sotto tali stelle è infatti destinato, lo possiamo dire con certezza, a trasformarsi in una sorta di agnello sacrificale consenziente, in quanto lo spirito di sacrificio di colui che indossa le vestigia di Andromeda supera di gran lunga i confini umani dell’istinto di sopravvivenza. Ikki stesso sostiene infatti che suo fratello, se qualcuno può essere salvato in cambio della sua vita, non esiterebbe mai a donarla. E a proposito di Ikki, una delle tematiche fondamentali che scandiscono il ruolo di Shun all’interno della storia (e quindi anche il ruolo di Ikki) è questo intenso legame fraterno, al quale Kurumada ha sempre dimostrato di riservare una particolare attenzione, non solo in Saint Seiya ma in quasi tutte le sue opere. Nel manga, rispetto all’anime, tale legame è esteso a tutti i ragazzini di Villa Kido, dato che nel corpo di tutti e cento scorre il sangue dell’anziano giapponese Mitsumasa Kido. Ma in questa sede ci soffermeremo a trattare dei due fratelli per eccellenza di Saint Seiya, Ikki e Shun appunto, figli di medesima madre e medesimo padre, costretti a separarsi, da bambini, per essere spediti nei rispettivi luoghi di addestramento. E’ infatti nelle vesti di fratello minore che Shun si presenta sulla scena e fin dall’inizio ci appare chiara la sua natura anche se, come accade per tutti, i lati tenerissimi e positivi della sua personalità spuntano fuori uno ad uno nel corso della storia… per spiegare meglio… è un personaggio che, se scrutato a fondo, è perfettamente comprensibile sin da subito, appare subito evidente la sua particolarità, la sua androgina dolcezza ma, proprio per via di questa particolarità e originalità, siamo convinti che anche gli stessi creatori della storia abbiano imparato a conoscerlo e a presentarcelo al meglio nel corso degli eventi. Sotto certi aspetti, pare che neanche loro stessi abbiano conosciuto completamente Shun; Kurumada lo descrive semplicemente come “quello carino”, come se non si rendesse conto lui stesso di ciò cui ha dato vita e se si guardano gli OAV, appare evidente come anche i curatori dell’anime spesso falliscano nel renderlo al meglio. Ma questo non vale solo per Shun e potrebbe essere una prova del nostro modo di vedere le cose: i saint non sono stati creati da nessuno, vivono di vita propria e coloro che ci hanno trasmesso la loro storia sono dei tramiti;PP Idee folli? Può darsi, ma sono idee alle quali non rinunceremmo e delle quali andiamo fieri^^ Dicevamo, dunque, che una delle prime cose che scopriamo di Shun è la sua divergenza di intenti rispetto agli altri guerrieri che si sfidano nelle Galaxian Wars; bene o male, ciascuno di loro ha un motivo per combattere, che sia la conquista del cloth di Sagitter, che sia il semplice voler dimostrare di essere il più forte o mettere alla prova le proprie capacità, fino a giungere, come nel caso di Seiya, il quale inizialmente rifiutava la lotta, ad accettarla allo scopo decisamente più giustificabile ed umano di volersi far notare dalla sorella scomparsa grazie alla diffusione dello spettacolo tramite i media. Anche Seiya, tuttavia, ci tiene a dimostrare quello che vale, è chiaro in ogni momento come il santo di Pegasus abbia un forte orgoglio guerriero, pur trattandosi forse della persona le cui motivazioni si avvicinano maggiormente a quelle di Shun. Proprio in questo orgoglio guerriero sta la differenza del santo di Andromeda; vincere l’avversario non è mai stato, è chiaro in ogni momento della saga, motivo di orgoglio per il ragazzino. Se accetterà le successive battaglie sarà per la consapevolezza di non potere né volere fuggire al proprio destino di protettore di Athena e quindi della Terra e sempre e comunque a malincuore; è quindi facile immaginare cosa significhi, per lui, prender parte ad un torneo che non ha alcuno scopo difensivo, cosa significhi l’obbligo, per il suo cuore gentile, di ricorrere ad una violenza più che mai gratuita. Da cosa è spinto quindi a riunirsi a quel gruppo di fanciulli combattenti, a salire su quel ring prestandosi alla spettacolarizzazione di una sacra casta di guerrieri che dovrebbe usare i propri poteri unicamente per Athena e per la Giustizia? Semplice: Shun sperava, in tal modo, di ritrovare, in quel gruppo di antichi compagni, il fratello maggiore dal quale era stato separato. Il suo immenso candore lo porta a non considerare il fatto che qualcuno potrebbe accusarlo di vigliaccheria per la sua reticenza a ricorrere alle maniere forti; semplicemente, non prende in considerazione il problema perché, seppur egli stesso non ne sia consapevole nella sua infinità umiltà, la saggezza che porta dentro di sé è grande e nulla riuscirà mai a convincerlo che dimostrare il proprio valore tramite la violenza sia il mezzo necessario per venire considerati uomini. Sono altri i valori che fanno il vero uomo e Shun non tende affatto a sentirsi umiliato quando gli altri sottovalutano i suoi poteri non indifferenti. Per questo può permettersi di non temere affatto gli scherni rivoltigli da Jabu quando Andromeda, sul ring, trovandosi faccia a faccia con colui che dovrebbe essere il suo primo avversario, gli confessa, senza mezzi termini, di non trovare nessun valido motivo che possa giustificare un loro scontro, che sentirsi obbligati a combattere in quel frangente è inutile e stupido e che un solo motivo lo ha spinto a non ritirarsi dalla tenzone. Queste sono le sue parole, estratte dal volumetto numero due del manga: “Jabu, non credi che questa lotta non abbia alcun senso?” E, allorché il santo dell’Unicorno lo accusa di avere paura, Shun ancora ribatte: “Non capisci. Se sono venuto è unicamente per ritrovare mio fratello… non so perché ci battiamo.” Il discorso che fa nell’anime è più o meno simile ed è pronunciato con infinita tristezza; non comprende il motivo per cui ci si debba battere, è evidente che non gli importa dell’armatura o di qualunque altra brama di gloria… uno solo era il suo obiettivo e straziante la sua delusione nello scoprire che il fratello non si è presentato: può solo sperare che arrivi nel corso del torneo. Inizialmente, Jabu fa del proprio meglio per provocarlo, ma Shun non accenna a voler prendere l’iniziativa e non è decisamente il tipo che cederebbe alla rabbia o al nervosismo; preferisce evitare gli attacchi di Unicorno, inizialmente solo scansandosi poi, comprendendo di non poterne più fare a meno, azionando la propria arma principale, la catena di Andromeda, disponendola a difesa intorno a sé. Vediamo così che ancora non è sua intenzione attaccare l’avversario con l’intento di fargli del male; la catena agisce di conseguenza, ogni volta che Jabu tenta un nuovo assalto e Shun fa del proprio meglio per trattenerla e far sì che le ferite inflitte dall’arma al rivale, non si rivelino mortali. Alla fine, Jabu non può che crollare, esausto, mentre Shun non si è neanche mosso per provare ad infierire. Proprio mentre Jabu tenta un ultimo, disperato approccio, il duello viene interrotto dall’entrata in scena di Ikki, completamente cambiato in seguito all’atroce esperienza di Death Queen Island: Shun si scioglie definitivamente e tutta l’incantevole, malinconica dolcezza del suo animo viene fuori per la prima volta in modo disarmante. I suoi occhi colmi di lacrime sono un memorabile affresco di tutto ciò che lui rappresenta; fa di tutto, in ogni momento, per mostrarsi degno del suo ruolo ma è un fanciullo troppo buono che si sforza di tirare fuori un minimo di fierezza guerriera quando occorre, non per orgoglio ma unicamente perché sente di non poter tirarsi indietro di fronte a ciò che le stelle gli hanno imposto. Tuttavia, il potere conferitogli dagli astri non è mai una scusa per dimostrare il suo valore di combattente, non è questo che gli importa; non sarà mai, per lui, motivo di orgoglio vincere una battaglia e mai è lieto di avere sconfitto un nemico, in quanto prevale, in lui, il dolore immenso per essersi trovato costretto a ricorrere alla violenza, dopo che ogni altro tentativo per far trionfare la Giustizia è fallito di fronte alla brama di potere o a tristi errori di valutazione da parte dell’avversario di turno. Il cuore di Andromeda si spezza nello scoprire che il suo Niisan non è più la persona che si prendeva cura di lui con amore quando erano bambini, tramutata, dopo sei anni, in una creatura dominata dall’odio… soprattutto nei confronti del fratellino, colui che ha sempre amato di più al mondo. Il malessere di Shun è accentuato da un terribile senso di colpa che si porta dentro fin da quando i bambini di Villa Kido sono stati inviati nei rispettivi luoghi di addestramento; infatti, non Ikki aveva estratto, tra i bigliettini, quello con su scritto il terribile nome di Death Queen Island ma proprio Shun se l’era ritrovato tra le mani. Il fratello maggiore non si era rassegnato a permettere che proprio il suo Shun venisse mandato in quello che tutti considerano un vero e proprio inferno sulla terra e, con fermezza, si era sostituito a lui. Shun non può, dopo aver visto tornare un Ikki terribilmente trasformato, impedire a sé stesso di considerarsi il primo responsabile: è una sorta di processo irrazionale ed inconscio, anche se profondamente umano, in quanto ormai tutti i saint dovrebbero avere compreso come la loro strada sia segnata da un destino a loro superiore e che le cose non potevano andare diversamente… le vestigia di Andromeda appartengono a Shun, quelle di Phoenix a Ikki e questo, probabilmente, era stabilito ancora prima della loro nascita in questo mondo. Eppure, Shun si lascia guidare dal cuore, anche a scapito di ogni riflessione razionale e, dal momento in cui Ikki appare alle Galaxian Wars, il suo scopo è quello di restituire al fratello la sua autentica essenza, giungendo persino a donargli la propria vita, sperando, in tal modo, di placare la sua ira. Una delle scene più toccanti dell’anime è il momento nel quale una lacrima, pianta dagli occhi di Shun, cade sul viso di Ikki… e l’espressione di quest’ultimo muta come per magia, come se quella goccia risvegliasse, in lui, tutto l’amore che ha da sempre provato per il suo gioiello e che era soltanto sopito, in attesa che una sorta di incantesimo giungesse a riportarlo alla luce. Nessuno al mondo, osservando il santo di Andromeda, oserebbe vedere in lui il classico guerriero che lotta per vincere, come già abbiamo fatto notare e questo lo porta ad essere sottovalutato; dopo Jabu altri incorreranno nello stesso errore, credendo di avere di fronte un fragile ragazzino troppo propenso alle lacrime e come Jabu saranno costretti a ricredersi perché, quando comprende che nessun altra strada sarà possibile intraprendere per la salvezza del mondo, solo allora Shun tira fuori tutto il suo latente potere, la forza distruttiva della tempesta nebulare in grado di seminare rovina intorno a sé (probabilmente scriveremo presto un articolo sul potere che Shun racchiude dentro di sé e sul suo rapporto con esso, perché ci sarebbe veramente molto da dire). Shun ha un rapporto conflittuale con il segreto che tiene nascosto nelle profondità di sé stesso fino all’estremo obbligo di utilizzarlo; al medesimo articolo rinviamo la storia di questa energia cosmica, dell’innocente inganno con il quale Shun ha voluto tenerla nascosta persino al proprio maestro, perché non voleva rischiare di ferire i compagni di addestramento, quello stesso maestro che sarà il primo a comprendere a fondo l’intima essenza del suo dolce discepolo.
Ed è proprio con le parole di Albior che inauguriamo le frasi più rappresentative legate al santo di Andromeda, parole pronunciate mentre Shun si sta congedando da lui, inconsapevole ancora del triste destino cui andrà incontro il suo maestro per aver rifiutato di mettersi contro il proprio amato discepolo; tali parole ci rivelano appunto quanto il Silver Saint di Cepheus abbia saputo leggere nel cuore di Shun:
“Hai chiesto di affrontare la prova del sacrificio; ci sei riuscito ed ora sei un Saint. Ma non riesco a credere che il tuo cosmo si sia risvegliato per caso durante il sacrificio. Shun, sono giunto a pensare che il tuo cosmo sia sveglio da parecchio tempo… ma che tu hai rifiutato di utilizzarlo contro gli avversari allo scopo di risparmiarli, preferendo lasciarli vincere.”
Shun risponde, con un umile sorriso, confermando i sospetti di Albior e, in tale risposta, si cela tutta l’essenza di Shun:
“Quello che dite è giusto: non amo la violenza, non amo l’idea di dover ferire qualcuno. In realtà, nel corso di questi sei anni d’allenamento il mio cosmo si è risvegliato.” (Dialogo tratto da Saint Seiya, volume 12)
Poco più avanti, dopo che Shun ha mostrato al suo maestro la propria forza, Albior fa questa osservazione, mentre lo guarda allontanarsi:
“Il suo cosmo è dunque cresciuto fino a tal punto… Shun è capacissimo di difendersi senza la catena di Andromeda… ma credo che non userà mai la sua vera forza. Nessuno saprà quale potenza si nasconda dietro la sua gentilezza.” (Saint Seiya, volume 12)
Alla fine del combattimento contro Aphrodite, quando lo stesso Shun sembra trovarsi in punto di morte, alla sua memoria si affaccia un fuggevole ricordo d’infanzia, il ricordo di tenere parole scambiate con Ikki, parole che dimostrano quanto precoci fossero la profondità e la saggezza di questo ragazzino, quanto innata la sua capacità di comprendere l’amore e la frivolezza della mentalità umana che pretende di porre confini nel mondo. Quale bimbo, piccolissimo e senza famiglia, se non un protettivo fratello maggiore, sarebbe in grado di formulare tale, sensata e logica verità? Insieme al fratello maggiore, Shun sta osservando una foto del pianeta Terra ripresa dallo spazio:
“E’ questa la Terra? Com’è bella! Ma su questa foto, non ci sono confini tra i paesi come quelli che si vedono sulle carte… Allora perché ci sono sempre guerre? Allora perché non ci si comprende meglio? Perché io non vedo alcun confine tra gli uomini… Ma Niisan, il prete ci ha detto che in molti muoiono durante la guerra, che molti bambini perdono i loro genitori… Allora ci saranno ancora molti bambini come noi negli orfanotrofi che non conosceranno i loro genitori… è triste… io vorrei poter difendere la pace. Perché ci siano meno bambini come noi. Sarebbe bello, non è vero?” (Saint Seiya, volume 12)
Quelle che seguono sono invece le parole pronunciate dal ragazzo durante il combattimento alla Terza Casa, quando trova la forza di reagire e testimoniano ciò su cui abbiamo insistito : la sua incapacità di ricorrere alla violenza se non per la salvezza di qualcuno:
“Non amo l’idea di dover ferire qualcuno. Benché sia un saint, preferisco limitarmi alla difesa… ma per salvare Hyoga, mio amico, mio fratello, oggi passerò all’offesa!!” (Saint Seiya, volume 9)
E come non citare la favola del leprotto raccontata da Shiryu, a proposito dello spirito di sacrificio di Shun, allorché comprende che il fratellino sta per donare la sua vita per la salvezza di Hyoga? L’intento è certamente quello di ravvisare Shun nell’eroico leprotto:
“C’era una volta un viandante, ferito ed affamato, in punto di morte. Una volpe, un orso ed una lepre volevano salvarlo. L’orso servendosi della propria forza gli portò della carne e del pesce… la volpe, furba ed astuta, gli portò frutti e bacche… ma la lepre, che non aveva particolari capacità… non poté portare niente al viandante. […] Non avendo nulla da dare, si gettò nel fuoco perché il viandante potesse nutrirsi della sua carne.” (Saint Seiya, volume 10)
Poco oltre, Seiya e Shiryu manifestano la loro preoccupazione nei confronti di Shun e nelle loro parole, benché premurose e rappresentative per quanto riguarda il loro compagno, mostrano una sottovalutazione che Shun non merita, benché pronunciate con tutto l’affetto che per lui provano:
“Alla fine di questa battaglia, pensavo di proporre a Shun di non vestire più la sua armatura… benché sia diventato un valente saint, non è fatto per combattere: ferire un avversario è molto difficile per lui. E’ troppo gentile… […] Shun indossa l’armatura di Andromeda, personaggio che nella mitologia greca si sacrificò… Incatenata ad una roccia, si offrì in sacrificio, per placare Poseidon!!” (Saint Seiya, volume 10)
Shun : Non credi sia il caso di darti una calmata ?-__- Heather: ok, mi fermo qui;PP ce ne sarebbero tante altre ma… vabbé;PPP Limitiamoci alla prima parte della saga;PP |